Busker: fare della strada il proprio palcoscenico

Il dizionario Garzanti definisce Busker “artista di strada; in particolare chi suona strumenti, o canta  o si esibisce in numeri di mimo o saltimbanco”.

I buskers sposano l’arte ma anche uno stile di vita che li vede girare le piazze e le vie delle città portando la loro arte gratuitamente, ricompensati da offerte che, chi si imbatte in loro, può scegliere di lasciare.

In Italia è piuttosto complicato essere un artista di strada in quanto non c’è una regolamentazione nazionale, bensì la normativa varia da regione a regione. A Firenze è particolarmente complesso esibirsi poiché viene richiesto essere residenti, a Milano è prevista invece l’iscrizione ad una piattaforma online nella quale specificare la zona di esibizione, tra le 250 disponibili, ed è necessario attendere il permesso ottenuto e tenerlo con sé nel corso della performance. Attraverso la piattaforma è possibile monitorare le esibizioni in tempo reale. Questo sistema, introdotto nel 2012, ha reso il capoluogo lombardo, secondo una ricerca internazionale, la terza città al mondo per arte di strada, tuttavia è stato fortemente criticato in quanto sembra privilegiare figure non professionali, con una forte ricaduta quindi sulla qualità dell’arte proposta. A Torino e a Bologna invece risulta più semplice potersi esibire. Generalmente chi decide di intraprendere la vita dell’artista di strada inizia dall’estero, proprio per la maggior semplicità normativa, che più si confà, anche idealmente, a coloro che decidono di fare della strada il loro palcoscenico. A Londra ad esempio, i buskers hanno l’appoggio del sindaco, e consultando il sito buskinlondon.com è possibile avere informazioni chiare sulla normativa vigente, creare un profilo, essere informati su eventuali competizioni e conoscere gli ambasciatori, ovvero artisti famosi che hanno deciso di appoggiare l’arte di strada. Passeggiando per le vie di Londra è frequente imbattersi in musicisti, cantanti, disegnatori, ballerini, mimi, circensi che danno colore e vivacità alla città stessa. Anche la Germania è molto aperta in quanto a arte di strada, Berlino infatti è spesso il punto di partenza, insieme alla capitale inglese, per chi sceglie questo tipo di vita.

Essere un busker è una scelta molto coraggiosa che raramente le persone perseguono per tutta la vita. Richiede una capacità di stare nell’incertezza, intesa in senso ampio: non vi è certezza sui guadagni che arriveranno dopo ogni esibizione, non vi è certezza sulle persone che si imbatteranno nella performance, non vi è certezza sulle condizioni climatiche che possono far interrompere l’esibizione o limitare fortemente il numero di spettatori che ne fruiranno. Le strade sono il palcoscenico, non c’è quella struttura che porta con sé una forma di rassicurazione nel pensare che chi paga il biglietto è lì per vedere quel cantante, quel ballerino, quello spettacolo.

Ci sono alcuni artisti famosi che hanno deciso di esibirsi come buskers, spesso senza farsi riconoscere. Ad esempio Sting che, camuffandosi con un cappello, guadagnò appena 40 sterline; il violinista Joshua Bell nel 20007 suonò con uno Stradivari nella metropolitana di Washington, ottenendo 32 dollari, di cui 20 da una coppia che lo riconobbe; Lucio Dalla nell’89 partecipò al Ferrara Buskers Festival duettando con Jimmy Villotti; Bruce Springsting si esibì a Copenaghen nel 1988 e poi nel settembre del 2011, quando si era recato a Boston a trovare suo figlio, in attesa che arrivasse suonò in strada utilizzando una chitarra acustica. A New York si sono esibiti invece gli U2, i Maroon 5 e Jimmy Fallon.

Repubblica, nel 2016 ha pubblicato un articolo intitolato “La dura, gioiosa vita dei buskers in Italia:    scegliere la strada è stato spontaneo”, in cui ha riportato alcune interviste ad artisti di strada. Di seguito alcuni stralci. Dario Rossi, percussionista diplomato al collegio Saint Louis di Roma, ha scelto di dedicarsi alla musica di strada dopo alcuni anni di insegnamento e racconta di aver preso questa decisione nel 2011, partendo da Londra ma sentendo Berlino come suo trampolino di lancio e a seguire Amsterdam. “Suono utilizzando diversi oggetti riciclati: secchi, pentole, scarti industriali, tubi, catene, pezzi di scaffali da lavoro. Diciamo così, utilizzo tutto ciò che riguarda l’ambiente casalingo e l’edilizia. La sperimentazione sonora mi ha sempre affascinato, così ho deciso di fare musica elettronica utilizzando mezzi di fortuna. Di fatto, applico la tecnica che ho imparato studiando a Roma, su un set alternativo. (….) la strada è il più ampio palcoscenico che un artista possa avere. Nei locali le persone sanno chi sei e se decidono di pagare un biglietto è perché vogliono venire ad ascoltare te, in strada sei esposto a tutto: può capitare che la polizia ti interrompa, che venga a piovere o può andare benissimo. Ogni volta è come se fosse la prima.”

I Rumba de Bodas, un gruppo di sette musicisti che fanno cover jazz, ska e hanno pubblicato due album propri, iniziano questo progetto nel 2008 (inizialmente erano 24 elementi) e raccontano “la voglia di suonare in strada c’è sempre stata, lo consideriamo il modo migliore per comunicare con il pubblico (…) Scegliere la strada anziché il palco è stato spontaneo”. Come pure naturale è stato spostarsi, fin da subito, in Gran Bretagna: “per sette volte abbiamo passato lì dei mesi ad esibirci. Si erano creati dei circoli bellissimi, avevamo contatti a Londra, Bristol, Edimburgo, Canterbury. Siamo arrivati a fare anche tre, quattro spettacoli al giorno. (…) 

eravamo determinati a fare di questo progetto un lavoro. Allora abbiamo iniziato a suonare in strada tutti i week end, con il freddo, il sole o la neve, per le città dell’Emilia Romagna. Questo ci ha dato visibilità, è stato grazie alle esibizioni in strada se poi sono arrivate le richieste di concerti. E da allora portiamo avanti parallelamente i due progetti: strada e palco”. I Rumba de Bodas hanno piano piano quindi ottenuto fama e successo e, se prima, facevano in Italia circa un concerto al mese, nel 2016 hanno un tour estivo con oltre 60 date. Elia, un componente del gruppo, ironizza “ci siamo un po’ imborghesiti, quando viaggiamo ci fermiamo in ostelli o hotel. Anni fa la fa la situazione era totalmente diversa, a volte non sapevamo nemmeno dove avremmo dormito. Ci fermavamo con il nostro furgone nei parchi, o nei piazzali degli Autogrill. Una volta, in Scozia, abbiamo addirittura chiesto ospitalità dal palco”. Racconta quanto internet e i social siano stati importanti per farsi conoscere su ampia scala: “Facebook, ad esempio, cerchiamo di usarlo nella maniera più intelligente possibile, coinvolgendo il pubblico e aggiornandolo su dove ci esibiremo. Abbiamo un discreto seguito”. Infine Repubblica riporta l’intervista a Giacomo Gamberucci, diplomato giovanissimo al conservatorio in violoncello nel 2007: “quando sono arrivato a Copenaghen me ne sono innamorato e ci sono rimasto un mese intero. È proprio qui che ho iniziato a suonare in strada, il violoncello acustico. Copenaghen era una città libera e tollerante, anche perché all’epoca i busker non erano ancora tanti”. Parla di come il mondo dell’arte di strada sia in continuo mutamento e di quanto la sua evoluzione sia indissolubilmente legata ai cambiamenti politici. Giacomo, dopo alcuni anni a suonare col suo violoncello in giro per l’Europa racconta di aver conosciuto un cantante e chitarrista col quale ha deciso di mettere su un duo “abbiamo girato gran parte delle capitali europee, stavamo via un paio di mesi, poi tornavamo in Italia per qualche settimana e poi partivamo di nuovo”, il sodalizio dura due anni poi il gruppo si scioglie “il mio collega ha registrato un album in studio, io non voglio lasciare la strada. Amo la semplicità e la spontaneità di questo tipo di spettacolo che non è filtrato. Non devi accontentare i gestori di un locale (….) suono il violoncello da solo e non più a sostegno di un cantante. E ho iniziato a girare l’Italia. Nelle città piccole è più facile, le persone non conoscono bene questa realtà, quindi sono incuriosite dai musicisti di strada e tu puoi suonare più liberamente. In ogni caso, l’aspetto fondamentale, per me, è lo scambio: nello scegliere il mio repertorio non ho avuto problemi a trascurare le mie preferenze. Suono sempre quello che penso possa piacere al maggior numero di persone”.

SITOGRAFIA:

Accademiapolacca.it

garzantilinguistica.it

repubblica.it

Wikipedia.org

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